Il punto sulla tecnica a camolera con Giuliano Meret, – tra passato, presente e futuro
Giuliano Meret è una figura conosciuta a molti e orbita in UPS oramai da tempo, ha trascorso almeno 15 anni come delegato, costruttore e pescatore da sempre, non ha mai perso l’entusiasmo per la pesca e per le acque che ci circondano. Ex responsabile del centro ittiogenico di Faedo, conosce pesci e corsi d’acqua come pochi altri, anni di attività ed esperienza maturata in pesca ne fanno un gran conoscitore della valle, delle relative laterali e di molti laghi alpini.
La sua stagione si divide tra la pesca a mosca e la pesca a camolera, e su quest’ultima ci siamo ritrovati per scambiare qualche parola e fare il punto sull’attuale situazione in cui verte l’antica tecnica.
Partendo dal fatto che ormai, al giorno d’oggi, la pesca a camolera viene esercitata in un’area circoscritta in un simbolico triangolo che riunisce Lombardia, Svizzera e Austria, facciamo prima qualche passo indietro.
All’inizio, spiega Giuliano, le prime camole erano costruite con il cascame dei telai, senza grandi pretese, quello c’era e quello si usava. Si ricopriva l’amo con il cascame disponibile e andava bene così. L’evoluzione nel corso degli anni ha poi portato alla ricerca di materiali diversi, ma all’inizio la semplicità era rappresentata dal materiale disponibile. E comunque, sottolinea, si catturava senza problemi. Anzi, la ricerca di materiale è stata necessaria successivamente, a causa dell’abituarsi dei temoli alle esche, e questo ha portato a differenziare le imitazioni presentate.
La camolera è una tecnica che negli anni passati, quando c’era abbondanza di pesce e una conformazione del fiume diversa, faceva fare numeri importanti a livello di catture:
“Al tempo il temolo non era considerato pregiato. Al tempo – si intende quando in UPS si registravano 10.000 associati – i Marsciùn si catturavano a volontà, senza problemi. Oggi invece chi trattiene due temoli da 40, porta a casa un capitale” racconta Giuliano.
Un capitale perché con gli attuali numeri e relative statistiche, un temolo che raggiunge i 40cm di lunghezza significa che ha 5 anni di vita. Considerando che a 3 anni di età il temolo inizia a deporre, e ai 40cm raggiunge la massima produttività per poi scemare dopo i 5 anni. Quindi a 40cm (e 5 anni di vita) un temolo è prezioso per i nostri corsi d’acqua. Basti pensare anche che il rapporto di produttività del centro di Faedo calcolata di ogni frega di temolo andata a buon fine è di circa 500.000 uova deposte per circa 250.000 temolini reali. Quindi un rapporto 2:1. Ma quanto detto fino ad ora cosa significa? Significa che qualcosa è cambiato. e
Giuliano spiega due parametri importanti che sono cambiati nel corso degli anni, percepibili sia a occhio, da fuori, che frequentando assiduamente il fiume.
“Un fattore molto importante è indubbiamente la scomparsa dei silos, una volta presenti su tutto l’asse del fiume” (per silos si intendono le zone dove si procedeva al prelievo di inerti). I silos fornivano veri e propri polmoni per il fiume, profondità d’acqua e inerzia termica permettevano ai pesci di stazionare indisturbati. Nel corso degli anni i silos sono pressoché scomparsi a causa della catastrofica alluvione del 1987. In contemporanea svasi, scioglimenti dei ghiacciai che han portato a vale il limo di morena, abbondanza di sospensione, per non parlare poi delle piene, han partecipato a riempire le zone di profondità. Quindi il corso d’acqua ha ripreso a correre in maniera costante, sfavorendo le zone di concentrazione dei temoli – prima invece presenti, e portandoli ad adattarsi alla nuova situazione.
Parallelamente alla trasformazione delle zone dei silos, la scarsa inerzia termica che caratterizza i nostri fiumi incide molto sul comportamento dei pesci.
Se si pensa che l’inerzia termica sia solo un piccolo dettaglio di poco conto, l’esempio è presto fatto: basti pensare a quanto rapidamente ormai cambia il meteo e di conseguenza le temperature dell’acqua, cambiando le risposte del fiume non solo in 24 ore, ma semplicemente nel giro di pochissime ore, minuti alcune volte. Oltre a questo elemento naturale, si aggiungono gli sbalzi di portata dovuti a centrali e sbarramenti che spesso alterano nel giro di pochissimo tempo anche la temperatura, basta l’apertura di un canale sotterraneo o di una centrale. Le osservazioni che riporta Giuliano, sono riassumibili in un effetto: se il temolo percepisce i 4.5/5°C di temperatura, a primavera entra in frega. E fino qui è normale: il regolare svolgimento della vita dei temoli.
Il problema insorge se nel giro di breve tempo si viene a verificare uno sbalzo termico, il temolo interrompe immediatamente la riproduzione e sfortunatamente una volta interrotta non la riprende più. Questo fa si che in alcune stagioni, successivamente a sbalzi termici portati da diverse cause sopra citate, si verifichino freghe incompiute, che incidono inevitabilmente sulle generazioni future.
Con il cambiamento del fiume, anche l’azione di pesca a camolera è cambiata, ci spiega sempre Meret. Al tempo quando si pescava in corrispondenza di silos, l’azione prevedeva una pesca di profondità, in tensione, con un costante contatto con le esche. Le abboccate erano dirette e decise e anche più redditizie al fine delle catture. L’alterazione del corso d’acqua e del relativo comportamento dei temoli, ha fatto si che ad oggi i pesci più importanti si riescano a trovare solo in mezzo a correntoni, dove c’è portata e profondità. Così facendo l’azione di pesca a camolera si è adattata, portando a lanciare parecchio a monte, facendo formare una pancia alla lenza, e pescando con una sorta di deriva morbida. Le abboccate sono percepite in ritardo rispetto alla “vecchia” azione di pesca nei silos, e sono minori rispetto ai tempi passati. L’azione moderna va anche a far luce su quello che è il discusso argomento dell’ardiglione nelle camole. Pescando in maniera moderna, se le camole sono montate barbless (per usare termini moderni – senza ardiglione) , sulla base di prove reali fatte, in termini pratici si va a perdere qualsiasi abboccata.
E Meret sui dettagli fin qui espressi sentenzia in maniera decisa: “Non è il pescatore che stermina il pesce, sono le tipologie di acqua che abbiamo in Adda che incidono”
Sulla domanda riguardo al futuro di questa antica e ormai circoscritta tecnica, praticata da sempre meno persone, Giuliano lucidamente fa riferimento a qualche numero: “Facendo due calcoli veloci sul mercato delle camole che si vendevano in zona, c’erano circa 700 licenze annuali che praticavano la camolera. Quando le zone turistiche sono state chiuse e convertite, gli associati che rientravano in quelle 700 licenze – persone tra i 50-60 anni, hanno praticamente smesso. Al tempo c’era tradizione su questa tecnica, i giovani imparavano dai più grandi e anziani, era più un discorso culturale tramandato di generazione in generazione. Ad oggi invece la tendenza è di andare verso una pesca più moderna – come la pesca a mosca, e in caso di acqua alta subentrano tecniche come la pesca a ninfa o a streamer. Non vedo molto interesse da parte dei più giovani ad approcciarsi alla camolera, e la generazione che probabilmente avrebbe potuto passare il testimone, ha smesso o ha definitivamente cambiato. Credo che di questo passo, tra 4-5 anni circa, scomparirà definitivamente chi pratica la camolera. E’ un dato di fatto”.
Arrivando invece al sodo, al capire che consigli e che segreti magari si riescano a scoprire parlando con Giuliano, il discorso torna sui materiali.
All’inizio c’era poca distinzione, si usava il cascame. Con silos e abbondanza di pesce non c’erano grandi necessità di avere un ricambio costante sulla tipologia di camole.
Con i cambiamenti qui sopra decritti, invece, si è notata un capacità dei temoli che abitano le correnti, di abituarsi nel giro di pochi giorni alle esche presentate. La costruzione delle camole resta quasi invariata (salvo la difficoltà nel reperire ami specifici – quasi scomparsi), cambiano colore e materiali in base alla stagione e alla zona di pesca. Per i colori si resta sui tradizionali, ma indubbiamente su alcune camole la tipologia di materiale può fare la differenza. Giuliano ci svela anche che alcune camole le tiene a “riposo” per una stagione per poi rispolverarle la stagione successiva: “In questo modo non perde di efficacia, è dimostrato che in alcune zone è meglio saltare una stagione”.
L’esperienza di Giuliano si concretizza ancora una volta in parole interessanti: “Con l’attuale situazione e conformazione del fiume, mediamente si prende bene i primi giorni dopo l’apertura. Poi le catture vanno calando giorno dopo giorno. La stagione della camolera potrebbe durare 1 mese come 10 mesi, non inciderebbe sul numero di catture, al giorno d’oggi”
Ringraziamo Giuliano Meret, disponibile ed esaustivo. Prima di andare via riusciamo a fotografare una camola delle sue personali, buttate l’occhio… magari vi torna utile.
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